Lo sviluppo del linguaggio nei bambini è un processo affascinante e complesso che inizia ben prima che pronuncino la loro prima parola. Tipicamente, i bambini cominciano a emettere i primi suoni riconoscibili intorno ai 6-8 mesi, con il cosiddetto “balbettio”. Le prime parole vere e proprie emergono solitamente tra i 12 e i 18 mesi di età, anche se questo può variare notevolmente da bambino a bambino.
L’attesa per le prime parole e in generale per lo sviluppo del linguaggio del proprio figlio rappresenta uno dei momenti più emozionanti per i genitori. Il percorso che porta i più piccoli dal manifestare ogni stato emotivo attraverso il pianto e versi privi di significato all’esprimersi con parole e frasi sempre più articolate è lungo e complesso ed è stato indagato da molti scienziati nel corso del Novecento. Ancora oggi l’ambito di ricerca sullo sviluppo linguistico nei bambini è tra i più sviluppati, soprattutto nel campo delle neuroscienze. Vediamo quali sono le principali teorie scientifiche in proposito.
La teoria innatista di Noam Chomsky
Una delle teorie che ha rivoluzionato maggiormente questo ambito di ricerca è stata sicuramente quella dell’Innatismo (o Nativismo) del linguista americano Noam Chomsky. Secondo questo approccio, i bambini nascono con un’abilità innata per comprendere il linguaggio. Qualsiasi lingua ha infatti una struttura estremamente complessa, tuttavia ciascun bambino riesce a impadronirsene in poco tempo e con relativa facilità, nonostante abbia a disposizione solo dati frammentari. Questo perché secondo Chomsky tutte le lingue hanno una struttura in gran parte comune, chiamata “Grammatica Universale”, che rispecchia le regole della facoltà del linguaggio e che quindi viene compresa naturalmente dal bambino. Ed è proprio grazie alla “Grammatica Universale” che i più piccoli imparano rapidamente e senza insegnamenti specifici le principali regole sintattiche e grammaticali fin dai primi anni di vita.
Lev Vygotskij e Jean Piaget: due approcci a confronto
Diversa è invece l’idea dello psicologo sovietico Lev Vygotskij che ha sviluppato la teoria dell’interazionismo sociale. Secondo Vygotskij i bambini apprendono il linguaggio attraverso interazioni significative con gli adulti, i coetanei e in generale con l’ambiente in cui sono immersi. I processi psichici complessi come il linguaggio non hanno dunque un’origine naturale ma sociale. È dunque l’ambiente culturale all’interno del quale è inserito il bambino a determinare il suo sviluppo linguistico. Il pensiero di Vygotskij ha influenzato anche molte ricerche contemporanee, tra cui, su tutte, quella della neuroscienziata Patricia Kuhl (2011) che sottolinea come i neonati apprendano più facilmente il linguaggio se coinvolti in contesti sociali piuttosto che attraverso il solo ascolto passivo.
Di pochi anni successiva alla teoria di Vygotskij è invece quella dello psicologo svizzero Jean Piaget. Secondo Piaget lo sviluppo del linguaggio è strettamente legato alla crescita cognitiva generale del bambino. Nel loro progredire attraverso varie fasi cognitive, i bambini apprendono concetti sempre più complessi, fino a comprendere gradualmente anche la funzione simbolica del linguaggio che permette loro di padroneggiare le regole astratte della grammatica e della sintassi. Per Piaget, dunque, non è l’ambiente a consentire lo sviluppo cognitivo (e linguistico) del bambino, bensì il bambino stesso che impara interagendo da sé sugli oggetti.
La prospettiva di Maria Montessori
Anche la rivoluzionaria pedagogista Maria Montessori si è occupata a fondo dello sviluppo del linguaggio nei bambini. Secondo Montessori dalla nascita ai 6 anni circa i bambini attraversano un “periodo sensibile” per lo sviluppo del linguaggio, in cui la ricezione di suoni e parole è più sviluppata. Anche secondo lei l’ambiente in cui i bambini sono immersi gioca un ruolo cruciale, dato che i bambini apprendono da esso e senza sforzo il linguaggio, dai primi suoni alle frasi più articolate. Proprio per questo motivo, nelle sue Case dei Bambini ancora oggi si cerca di costruire un ambiente totalmente predisposto all’apprendimento dei più piccoli e vengono proposte esperienze linguistiche ricche come l’esposizione al linguaggio parlato e il racconto di storie. L’approccio montessoriano unisce, in una prospettiva olistica, i fattori cognitivi, sociali ed emotivi, considerandoli tutti essenziali nel processo che porta il bambino ad assumere la padronanza del linguaggio.
Le ricerche contemporanee
Le neuroscienze contemporanee, infine, continuano a indagare a fondo il percorso di avvicinamento dei bambini al linguaggio. In particolare, studi recenti che hanno sfruttato l’innovativa tecnica del neuroimaging hanno evidenziato come la formazione delle frasi, specialmente quelle più articolate, sia un processo dinamico che vede coinvolte più aree del cervello.
Ciò dimostra come la scoperta della parola e del linguaggio sia un’avventura complessa e dal forte impatto sulla vita del bambino a cui i genitori possono partecipare stimolando e dando buoni esempi, come leggendo libri ad alta voce (leggi l’articolo sull’argomento), recitando filastrocche e conte, ma anche cantando e ballando insieme “Il ballo del qua qua”.